Provai, alcuni anni fa, in Parlamento, a lavorare per un Disegno di Legge sul carcere. O meglio, più precisamente, sulla percezione del carcere.
Sentivo, da decenni, le invocazioni della galera.
In galera, in galera, in galera…
Da parte di parlamentari, leader politici, giornalisti, intellettuali, vari.
Dai magistrati naturalmente.
Con facilità.
Le carceri sono piene, per oltre la metà, di persone in detenzione preventiva. O senza sentenza definitiva. Queste persone risulteranno innocenti, nel 50 per cento dei casi.
Ma questi sanno cos'è il carcere? Mi chiedevo.
Io li visitavo di continuo.
Ad Ancona, una volta, andai a trovare un ragazzo di Rimini, 19 anni, aveva detto una stupidaggine in una riunione di estrema destra.
Se l'erano dimenticato nel braccio del 41bis. Stava da mesi con i mafiosi.
L'avevano mandato a scuola.
Chiesi alle guardie: ma il magistrato sa in che condizione sta questo ragazzo? E chi li vede i magistrati, mi rispose.
Feci casino. Dopo poco fu liberato.
Ecco, la legge che volevo era questa: chi ha un ruolo, sulla libertà delle persone, sul carcere e sulla percezione del carcere, i parlamentari che fanno le leggi, i magistrati che le applicano e i giornalisti che fanno i titoli dei giornali, all'inizio della loro carriera, per 6 mesi, devono passare un giorno la settimana nelle carceri come volontari.
Così vedono.
Ne parlai con colleghi e giornalisti.
Mi presero per matto.
Ho sempre pensato che il carcere, le condizioni di detenzione, la percezione che le persone hanno del carcere, del dramma della privazione della libertà, della barbarie delle celle sovraffollate e putrescenti , siano la misura di una civiltà.
Quel che descrive, racconta, Mattia Feltri, è la misura della nostra.