Moderato come sanno esserlo gli uomini di destra costretti a farsi passare per politici di sinistra; manager del più bel capitalismo lombardo riallineatosi al progressismo green, da amministratore delegato della Pirelli ai monopattini elettrici, perché anche i pneumatici Cinturato a volte slittano a sinistra; e sindaco-modello di qualsiasi idea prêt-à-porter: oggi va lo smoking dell'altissima borghesia milanese alla Prima della Scala domani la T-shirt del compagno sexy Che Guevara, Hasta Victoria's Secret siempre, Beppe Sala brianzolo di Varedo, mobili, Made in Italy, meneghin e il sogno di conquistare Milano, dal contado alla metropoli andata senza rimpianti né ritorni ha 64 anni, segno zodiacale Bocconi, ascendente Camaleonte. Dagli abiti grisaglia, nuance Bicocca, alle inguardabili calze arcobaleno, ha sempre dato prova di una straordinaria capacità di mimetizzarsi. Con chi vince.
Naso grosso e cervello fino, e una discreta passione per la vela, Cécco Bèppe Sala sa fiutare il vento come pochi, e seguirlo meglio di chiunque altro. Tutte le cordate giuste in Pirelli fino a diventare il braccio destro di Marco Tronchetti Provera; poi la scelta nel momento opportuno di prendere il largo, e una cospicua buonuscita, per passare alla pubblica amministrazione; grande salto a Direttore generale del Comune di Milano come braccio armato di Letizia Moratti nell'epoca d'oro della Casa delle Libertà, quando di fatto diventa l'uomo della donna di Berlusconi; una pausa di vera gloria manageriale universale «Expo un attimo a fare un giro…» per ritrovarsi due volte, senza avversari, sindaco progressista della città più conservatrice d'Italia, al netto della cerchia dei Cap 20121, 20122 e 20123 dove Sala ha il 95% dei consensi. Quadrilatero, bike sharing, Ddl Zan, Ztl e giacche di visone Black-Glama a pelo corto.
Occhio lungo nel rivendere come nuovissimo il già visto e campione nell'intestarsi le intuizioni delle giunte Albertini e Moratti, Beppe Sala è l'uomo giusto al posto sbagliato per la destra e l'uomo sbagliato al posto giusto per la sinistra. Ed ecco perché lo votano tutti. Democristianamente è il sindaco perfetto nel sublimare le due anime della città: la Milano borghese élitaria e produttiva di banche e di potere e la Milano operaia e popolare filo-immigrazionista, tutta piste ciclabili e orgoglio gay. Finanza bianca, estremismo verde, bandiera rossa e famiglie arcobaleno: è l'esibizionismo ideologico necessario per accreditarti in un mondo che non è il tuo. Intelligente, furbo, determinato: destra e sinistra fanno tutte il tifo per lui.
«Sì, ma adesso: che cazzo ce ne facciamo di due stadi?!».
San Siro, san Bernardo, santo subito, Sankt Moritz, sanatorie e sandali francesi.
Servitore ligio dei padroni di rito meneghino e una certa tendenza all'oscillazione politica, Beppe Sala prima ha veleggiato dentro il Pd, per abbandonare la rotta appena viste le troppe correnti; poi una sbandata, rientrata al momento strategico, per Renzi; una proclamata adesione ai Verdi di fatto non concretizzata; poi il progetto di un polo progressista, riformista e antipopulista mai andato in porto; quindi un estemporaneo avvicinamento a Di Maio; infine un ripensamento estivo – il tempo di studiare i sondaggi e passare una sera alla festa dell'Unità milanese – e si torna a votare Pd: «È sempre stato il mio partito di riferimento» (sic!). L'upgrade ieri, sul palco di Monza accanto a Enrico Letta: «Lotteremo fino all'ultimo voto». Da simpatizzante a militante.
Domanda: ma Beppe Sala, una volta lasciate dietro di sé le macerie di Milano svendita del patrimonio immobiliare cittadino per fare cassa, una spianata devastante di piste ciclabili, un bilancio economico basato sulle multe, e un modello sicurezza non così sicuro, glielo ha detto persino Chiara Ferragni (wow!) – cosa vuole fare da grande?
Sala d'attesa aspettando la leadership di un grande partito. C'è chi scende e c'è chi Sala. Salah Al-Din, ramadan in Duomo e kebab. Salagram e l'ossessione social, proprio lui che poi tuona contro i politici su TikTok…
Le mille facce di Giuseppi Sala. Versione yuppie ambrosiano con loft e gin tonic quando viveva single felice a Brera. Versione buon padre di famiglia allargata ora che abita in zona Risorgimento con la compagna, i tre figli di lei, il cane Whisky e uno stuolo di domestici, e Adieu all'indipendenza (e pure vaffanculo al federalismo). Versione bulletto brianzolo quando stava per arrivare alle mani con gli anarchici che lo contestavano al Corvetto. Versione Re Sole quando fra yesmen e yeswomen tiranneggia su Palazzo Marino, e anche oltre (fu il governatore Attilio Fontana, con pragmatismo lumbard, a rimetterlo in riga: «L'è 'n poo tròpp comandina»). Versione glamour-chic quando posò sulla copertina di Style con due bambini, un maschietto bianco e una femminuccia nera – photo opportunity del miglior immigrazionismo patinato – sotto il titolo: «Milano città aperta».
Poi, certo: sulle chiusure, il lockdown, Covid sì Covid no, gli aperitivi sui Navigli, le colazioni a Chinatown – #MilanoNonSiFerma #MaAncheSì lo smartworking e #MilanoDeveRipartirte… la gestione della pandemia è stata quello che stata Ma la città continua ad amarlo.
Un amore del tutto disinteressato dopo un passato sentimentale piuttosto animato e due divorzi – per Chiara Bazoli (figlia di quei Bazoli), la più bella first sciura sotto la Madonnina; una passione per la bicicletta, compagno bipartisan di pedala sia di Bruno Tabacci sia di Alessandro Sallusti; carattere irritabile e inquieto, ambiguo e ambizioso, «bravissima persona, solo un po' ganassa»; gusti musicali che oscillano fra Ghali, Riders on the Storm dei Doors e Bella ciao; cattolico praticante; interista per convinzione e Lgbtq per interesse (no dài, non è vero: era felicissimo quando unì in matrimonio civile la zia Gabriella e la compagna Gianna), Beppe salottiero Sala non si può negare è l'esempio più invidiabile di manager prestato alla politica che da politico è riuscito a continuare a fare il manager. Perdendo qualcosa nel rispetto delle norme burocratiche, ma guadagnandoci in efficienza. Come si dice a Milano: «Inscì aveghen!».
Cose che Beppe Sala adora: il dialetto; riempire la città di bici e monopattini, vietare i Diesel 5 (tanto lui mica deve comprare una macchina nuova), vendere la sua auto, usare quella blu; le gabbie salariali («Te l'avevo detto che è di destra…»), decidere quali artisti russi possono o no esibirsi alla Scala; la villa a Zoagli, che gli ristrutturò l'architetto De Lucchi, quello dell'Expo; postare «scorci suggestivi» di Milano; gli asterischi; la fig*.
Cose che Beppe Sala odia: i parcheggi (per gli altri); essere contraddetto; dover ammettere che l'area C non è una tassa sull'inquinamento per abbassare i livelli di polveri sottili ma una tassa sul traffico per fare cassa; la casa a Pontresina, in Engadina, quella che aveva dimenticato di dichiarare nell'autocertificazione per il «decreto Trasparenza» (infatti l'ha venduta); e soprattutto i milanisti, e un po' anche i milanesi. Altrimenti non deliberava due milioni e 850mila euro per insegnare nelle scuole cittadine la cultura e la lingua rom. Però, come si dice a Brera, «Milano non savà un Pavadiso, ma è così inclusiva».
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