Il giustizialismo, la passione per la giustizia può essere pericolosa e, se portata all'estremo, si tramuta in terrore, avverte Massimo Cacciari, partendo dalle disavventure del Michael Koolhaas di von Kleist e intervenendo al Festival Filosofia, quest'anno dedicato al tema della Giustizia. Una norma, una legge ritenuta così insindacabile che non ammette eccezioni a un'applicazione rigida, sembra il perseguimento di un vero ordine che in realtà porta al disordine e al terrore, perché tutto ciò che si distacca da quella applicazione o le è di ostacolo va eliminato, le si taglia la testa come accadde a un certo punto con la Rivoluzione francese.
Per fortuna, nella nostra realtà, non esiste l'applicazione meccanica della legge, è praticamente impossibile perché in ogni sentenza c'è inevitabilmente la creatività, l'interpretazione del giudice. Questo apre il discorso al rapporto tra colpa e pena, che paiono avere una sorta di consequenzialità, e al significato dell'innocenza, che è altro particolare discorso, perché è illusorio vedere la pena come qualcosa che lava la colpa, che permette di aver pagato il proprio debito. Umberto Curi, docente di Storia della Filosofia all'università di Padova, fa notare come il termine castigo, derivi da castus, ovvero puro, pulito, implicando che questo agisca pulendo l'impurità della colpa e ragiona, anche storicamente, per dimostrare quanto la concezione della pena come giusta paga della colpa celi, appena un po' civilizzato, il meccanismo della vendetta. Ed è critico anche con il paradigma umanistico della pena come rieducazione, terapeutica, che presume chi communi la pena sia il detentore dei giusti valori cui riportare tutto e tutti. Meglio allora la visione di un'azione di prevenzione, azione che presenta però, come dimostrato, difficoltà forse insormontabili. Comunque Curi poi spiega che "la giustizia riparativa può essere persuasiva, quanto meno pretende di aver risolto le aporie connesse con la nozione stessa di pena".
In relazione a questo, un senso ha l'indagine sulla clemenza di Francesca Rigotti, docente di Comunicazione politica all'Università di Lugano, che ne spiega la storia e la necessità, contrapponendola anche lei ai rischi delle prese di posizione assolute, di cui è a sorpresa un paladino persino Cesare Beccaria, per il quale una pena proporzionale, secondo leggi chiare e certe, non lascia più alcuna ragione alla clemenza. Enzo Bianchi poi, fondatore della comunità di Bose e biblista, avverte che se si pone solo l'accento sulla prospettiva giuridica si corre il rischio dell'oggettivazione e, come tramanda il detto 'summa ius summa iniuria', la troppa giurisprudenza crea grande danno, se non si apre il discorso sulla misericordia che ci insegna Gesù e i Vangeli, termine non inerente al diritto, ma nemmeno sentito troppo estraneo, tra grazie e indulti. In questo contesto c'è poi chi invece si è soffermato sull'innocenza e per Cacciari il vero innocente è solo chi non ha il senso del peccato: Adamo e Eva prima della mela o un animale che si nutre di un altro e non per questo possiamo appunto dirlo o pensare si senta colpevole. Insomma l'innocenza vera, sul piano filosofico è qualcosa che non esiste e persino due giuristi come Satta e Carnelutti, affermavano molti anni fa che il vero innocente non è chi viene assolto, ma semmai solo chi in tutta la sua vita non è mai stato portato in giudizio.
Per capirci su un piano più quotidiano, ecco che c'è ci spiega come spesso molti si sentano individualmente innocenti, senza pensare che la loro passività, o il loro essere partecipi di riti collettivi, li renda egualmente colpevoli per essere parte del contesto anche vasto con le sue disfunzioni o malefatte.
Una via da percorre è allora, forse, quella del riconoscimento dell'altro, specie se minoranza o in situazione di inferiorità, di cui parla Barbara Carnevali, docente di estetica sociale a Parigi, e il saper sviluppare l'empatia, che non è punto di arrivo, potendo essere positiva come negativa, ma solo punto di partenza, cui aggiungere cultura e razionalità per trasformarla in conoscenza e comprensione, come spiega Anna Dionise, docente di Filosofia morale all'Università di Napoli.
(ANSA).
—
Fonte originale: Leggi ora la fonte
No comments:
Post a Comment