Altro che «agenda Draghi»: a poco più di un mese dal voto, il programma elettorale del Pd (illustrato ieri da Enrico Letta alla direzione del partito, e approvato all'unanimità) si tinge di rosso-verde.
Un'agenda identitaria, molto piegata verso sinistra, che sembra allontanarsi dal rigoroso pragmatismo riformista del premier, per alzare le bandiere dei diritti (ius scholae, matrimonio egualitario, fine vita, cannabis), di una «giustizia sociale» in salsa laburista che strizza l'occhio al melenchonismo d'Oltralpe, alla transizione ecologica con più di una captatio benevolentiae all'ambientalismo dei no-tutto.
Un esempio assai indicativo sta nel passaggio dedicato ad una questione di drammatica attualità come quello delle risposte da dare subito alla drammatica crisi energetica innescata dall'aggressione russa all'Ucraina (un tema pressochè dimenticato ormai, almeno negli ultimi interventi, da Letta, che pure è stato uno dei più fermi e coraggiosi supporter di Kyev).
Certo, si legge nel programma approvato ieri in Direzione, «il ricorso ai rigassificatori appare necessario». Ma solo a condizione «che essi costituiscano soluzioni-ponte, che rimangano attivi solo pochi anni e che possano essere smobilitati ben prima del 2050 per non interrompere la prospettiva della transizione ecologica». Inoltre, «i territori dove verranno installati dovranno essere coinvolti nelle decisioni e adeguatamente compensati per l'impatto economico e sociale attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc». Insomma: nessun richiamo al fermo monito del premier Mario Draghi sulla «questione di sicurezza nazionale» legata alla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento, e quindi all'urgenza essenziale di terminare in breve tempo gli impianti di rigassificazione a Ravenna e Piombino. Ma un blando compromesso «transitorio» tra il sì obbligato del Pd nazionale al piano energetico del governo e l'ammiccamento alle forsennate proteste «Nimby», con l'alibi di un ecologismo di maniera, che hanno visto scendere in piazza i dem locali, mano nella mano con Cinque Stelle, Lega e Fdi. Il tutto corredato da un rotondo «no» al nucleare, che non guasta mai.
Con l'ambientalismo, le proposte un filo paternalistiche tipo «dote ai diciottenni» e l'attenzione ai diritti civili, il Pd di Enrico Letta cerca di conquistare il voto giovanile. Ma è evidente anche la volontà di recuperare e blindare il consenso dei tradizionali gruppi sociali di riferimento: gli insegnanti, cui viene promesso un «adeguamento degli stipendi alla media europea» (costo: dai 6 agli 8 miliardi), ai lavoratori dipendenti cui garantire «una mensilità netta in più alla fine dell'anno, grazie a una riduzione choc delle tasse sul lavoro», altro che la flat tax di Salvini e Berlusconi «che avvantaggerebbe solo i miliardari». E ancora: «Realizzeremo 500mila alloggi popolari nei prossimi dieci anni», ma anche «trasporti pubblici gratuiti per studenti e anziani», e pure un «contratto energetico sociale per famiglie a reddito medio-basso». Così, alla fine, la pur azzeccata battuta di Enrico Letta sulle promesse elettorali di un centrodestra che «se ne frega delle coperture», al punto che «neanche l'intero debito pubblico italiano sarebbe sufficiente a sostenerne i costi», rischia di potersi applicare anche al libro dei sogni Pd. In apertura dei lavori della direzione, Letta chiama la standing ovation per Mattarella e torna a condannare «l'errore drammatico della destra e di Berlusconi che hanno voluto mettere il Quirinale dentro al fuoco della campagna elettorale». Denuncia il rischio di «stravolgimento della Costituzione» con una vittoria della destra, la cui proposta di presidenzialismo «è la stessa di Almirante». Per questo, dice, il 25 settembre «saremo davanti ad una scelta storica: o si sta dalla parte della Costituzione» o si rischia una «deriva orbaniana».
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