Con gli 11,2 miliardi accumulati in giugno, il debito pubblico italiano tocca il suo nuovo record, a 2.766 miliardi. Alla vigilia delle elezioni politiche, il dato assume un preciso significato: nessuno dei contendenti potrà ignorare il vincolo di bilancio. Di fronte al quale ogni politica economica espansiva dovrà essere costruita con responsabilità, senza creare nuovo debito, pena finire sotto il tiro dei mercati a cui interessa solo la sua sostenibilità, cioè il pagamento degli interessi.
Per questo il tema della riforma fiscale, prioritaria nel programma delle liste del centro destra, assume un peso fondamentale. E in particolare la questione della flat tax, la tassa unica che dovrebbe sostituire gli scaglioni delle imposte sul reddito: porre la questione come se si trattasse di un taglio secco delle tasse sarebbe sbagliato e fuorviante. Parimenti, bocciare a priori la tassa piatta quale irrealistico provvedimento, buono solo per i libri dei sogni, è altrettanto fuorviante. La flat tax, nelle intenzioni dei suoi padri storici, a cominciare dal premio Nobel Milton Friedman, è un vero e proprio nuovo impianto fiscale complessivo.
In proposito è prezioso l'intervento dell'Istituto Bruno Leoni, think tank di economisti liberali indipendenti, che ha ricostruito la questione flat tax mettendo in fila i sei punti ineludibili per chi intenda farne una bandiera prima elettorale e poi di governo. Dal quale si evince che l'idea di Forza Italia che fa perno su un'aliquota del 23%, è sostenibile. Chi promette, come la Lega, percentuali inferiori (15%) è meno credibile e più attaccabile.
Si parte proprio dal deficit: «Per gli italiani flat tax è ormai sinonimo di riduzione della pressione fiscale. Visto che una riforma fiscale non si può fare in deficit, tanto meno in un Paese che ha un debito pubblico come il nostro, chi la propone non può eludere il tema delle coperture». Cioè «dei tagli strutturali alla spesa pubblica, che sono necessari e che devono essere tanto più profondi quanto più la riforma vuole essere ambiziosa. Secondo punto: «Non si spacci per flat tax il trattamento di favore di alcuni redditi. Se ben disegnata non tollera trattamenti di favore, esenzioni e bonus». Terzo: «Una flat tax seria non è una modifica al margine del sistema tributario o alla sola Irpef. Bensì richiede che il sistema stesso venga ripensato per garantire, in presenza di una aliquota unica, il necessario equilibrio fra tutte le sue componenti». E la progressività esiste «ma non al solo lato del prelievo». Chi la propone quindi, si armi di «una norma di delega ben scritta, ampia ma non vaga, redatta, se possibile, da esperti». Quarto: in una riforma di ampia portata e innovativa «la fase transitoria è tanto importante quanto la fase a regime per evitare crisi di rigetto». Quinto: «Una riforma fiscale ben disegnata non si ferma al ridisegno di questa o quella imposta. Deve necessariamente riguardare anche il funzionamento dell'Amministrazione finanziaria e il rapporto fra fisco e contribuente.
Infine l'aliquota. «Una riforma fiscale che ruoti intorno a una flat tax – scrive l'Ibl – è possibile e sarebbe anche desiderabile». E per Bruno Leoni l'aliquota che può funzionare è intorno al 25% per tutti. Ma la maniera migliore per non farla è quella di proporne una versione visibilmente implausibile sotto il profilo degli equilibri di finanza pubblica: quella al 15% «appartiene a questa categoria e chi realmente pensa che si possa e si debba avere una flat tax in Italia dovrebbe dirlo senza infingimenti. Lo stesso vale per qualunque proposta di riforma che eviti di quantificare il minor gettito e di dire come farvi fronte».
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