Quando si fonda un nuovo soggetto politico è indispensabile perseguire una visione, dare l'impressione di avere una forte motivazione ideale. Silvio Berlusconi si inventò Forza Italia per non lasciare il Paese ai comunisti e dare voce ai moderati: certo, nell'impresa lo aiutarono le sue televisioni, ma i suoi avversari, la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, avevano tutto il resto: i giornali, la magistratura, l'accademia e pure la Tv di Stato, cioè la Rai. E malgrado tutto vinse. Anche l'ipotesi del terzo polo ha una sua ratio: l'idea di un soggetto nuovo tra centrodestra, sinistra e grillini può attrarre chi non è affascinato dall'offerta attuale. Solo che la gestazione dell'operazione è stata a dir poco catastrofica.
Carlo Calenda prima ha giurato e rigiurato per mesi che non avrebbe stretto nessuna alleanza con Renzi. Poi ha stipulato un'intesa con Enrico Letta e successivamente si è tirato indietro. Infine, ha dato vita ad un'estenuante trattativa con il leader di Italia Viva su argomenti privi di appeal: chi sarebbe stato il capo; quale sarebbe stata la suddivisione dei collegi tra i due partiti; quale sarebbe stato il nuovo simbolo e dove sarebbero finiti i vecchi. Ebbene, quando si persegue un'idea, temi simili dovrebbero essere quisquilie e, invece, si è data l'impressione che fossero condizioni pregiudiziali. Ad esempio, tutti hanno capito che Calenda se non avesse avuto i gradi di ammiraglio non avrebbe tentato l'avventura.
Una liturgia che ha finito per mortificare l'idea. Un processo politico in cui ego e ambizioni personali hanno fatto venir meno il sogno: più per il leader di Azione che per quello di Italia Viva, che fin dall'inizio aveva accettato di fare un passo indietro. Soprattutto si è insinuato il dubbio che i due si siano messi insieme solo per uno stato di necessità: Calenda perché, non avendo un simbolo a disposizione, avrebbe rischiato di non presentarsi alle elezioni; e, sull'altro versante, Renzi, nel timore di non avere da solo la dote di voti necessaria per entrare in Parlamento. Lo stato di necessità però non fa virtù.
Più che visionari, quindi, i due hanno dato l'idea di essere due furbetti. I furbetti del partitino. Più che il Cavaliere hanno rimembrato Angelino Alfano. Hanno seguito più che la passione, il pragmatismo del «giova o non mi giova». Certo in politica la concretezza è importante, i sognatori non hanno cittadinanza o durano poco. Ma all'inizio di una nuova esperienza la visione, l'intuizione, la dedizione sono il vero carburante. Per cui il terzo polo è decollato, ma se i piloti non cambieranno presto costumi, comportamenti e caratteri rischia di precipitare alla prima perturbazione.
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