Se c'è un argomento che non ammette confusione in una coalizione di governo è la politica estera. È un tema su cui non ci possono essere né beghe, né divagazioni. Non è retorica ma un dato di fatto. Perché un'unità di indirizzo dell'esecutivo ci rende affidabili agli occhi dei nostri alleati e, contemporaneamente, ci dà la possibilità di avere più peso nelle decisioni che si prendono insieme. Mentre il Paese si appresta ad eleggere un nuovo Parlamento, chi punta al governo su questo punto deve avere necessariamente le idee chiare. Per cui già solo dare l'impressione di immaginare fughe in avanti, di voler mettere in discussione le sanzioni contro la Russia decise dalla comunità occidentale dopo l'aggressione all'Ucraina è un errore. Vale pure per il centrodestra e per Matteo Salvini.
Ha ragione, quindi, Forza Italia a farsi garante della continuità della linea adottata finora dal nostro Paese. Anzi, è essenziale che lo faccia anche perché per la sua storia, per l'esperienza maturata dal suo leader, per l'appartenenza al Ppe e per i rapporti che ha oltreoceano e in Europa, è il suo ruolo naturale. Un ruolo che le è riconosciuto pure a Bruxelles. Chi ha parlato con la più alta in grado nel governo europeo si è sentito dire: «Senza Forza Italia sarebbe una coalizione solo sovranista».
Gli altri partner del centrodestra debbono invece rendersi conto che sullo scacchiere estero - specie se si è al governo - non si gioca in solitaria. Lo hanno potuto fare i grillini, ma non per nulla sono sempre stati trattati a livello internazionale come degli scappati di casa. Erano ascoltati - riprendendo un vecchio slogan pubblicitario - solo nei peggiori bar di Caracas. Questo non vuol dire che non sia necessario individuare uno sbocco alla guerra russo-ucraina che va avanti da sei mesi. Lavorare per una soluzione che non ci rimandi alle calende greche. Ma proprio per essere ascoltati dai nostri alleati ti devi mostrare leale: più si fidano, più ti ascoltano. È l'equazione che da sempre fa girare il mondo.
Per questo la campagna elettorale è il momento meno adatto per aprire un dibattito su una possibile svolta: magari puoi conquistarti il voto di qualche imprenditore penalizzato dalle sanzioni, ma crei i presupposti per essere visto con diffidenza dai nostri alleati e avere una voce in capitolo marginale nelle scelte che contano. In più offri il destro a chi non aspetta altro per insinuare dubbi sul tuo atlantismo, chi non ci ha pensato due volte a scambiare la politica estera per una polemica su un biglietto aereo per Mosca pagato in rubli dimenticando tutte le volte - cioè sempre - in cui la Lega ha appoggiato in Parlamento la politica del governo Draghi sull'Ucraina.
Sono elementi su cui dovrebbero riflettere tutti, ma, soprattutto, chi punta ad avere ruoli di prestigio nel prossimo governo, da quello di premier a quelli di ministro della Difesa, dell'Economia o dell'Interno. In un Paese che è nella Ue e nella Nato, più della retorica sovranista conta il grado di affidabilità presso i nostri alleati. Basta guardare senza infingimenti e ipocrisia ai veti espressi da Sergio Mattarella sulle liste dei ministri dei governi della scorsa legislatura: che siano stati giusti o sbagliati, alla prova dei fatti importa poco, quello che conta è che ci sono stati.
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