Gli occhi del mondo sono tutti puntati su di lei. Ci sono quelli speranzosi dei militanti che hanno atteso per decenni questo momento e per i quali la vittoria di Giorgia Meloni segna il riscatto del passato. Ci sono quelli guardinghi dell'Europa, delle agenzie di rating, delle opposizioni, tutti pronti ad aspettare il primo passo falso sulla riva del fiume. E infine ci sono gli occhi impauriti di quella parte di società civile che non si riconosce nelle sue idee, che teme – in modo legittimo e pregiudizievole a volte – un restringimento della sfera dei diritti, un inasprimento del clima di ostracismo nei confronti delle cosiddette minoranze, una difficoltà quotidiana nel vivere serenamente.
Ci sono due poste in gioco, diverse ma strettamente collegate. Una riguarda il modo di governare in un momento storico disastroso a livello economico e sociale, l'altra – quella paradossalmente più dura – è una scommessa sul futuro politico della Meloni. Che, mai come adesso, si gioca tutto. Al tavolo verde è il momento dell'all in. La sfida vera non sarà sedare e convincere i mercati, ma si racchiude in un'unica parola: allargare. Il consenso, l'autorevolezza, la fiducia. E non mi riferisco al suo elettorato, bensì al grandissimo partito degli astenuti, alle donne di sinistra che non se la sono sentita di mettere la croce sul simbolo di FdI, persino ai moderati che aborrano l'idea di stare a destra. Ecco, la vera sfida per la Meloni è spostarsi al centro rimanendo di destra. Il prezzo da pagare potrebbe essere quello di perdere una parte – quella più radicata – del proprio elettorato. Ma è un rischio che vale la pena correre, un male minore per poter aspirare a un orizzonte temporale più longevo e a uno spazio di manovra più ampio.
E per garantirsi un futuro in politica. È una strada che ha già iniziato a percorre dal 2020, anno in cui è diventata leader dei Conservatori europei, lo storico movimento di cui fanno parte più di 40 partiti europei e occidentali, che si batte per una Europa confederale che sappia difendere la sua identità e la sovranità delle nazioni che la compongono. Il simbolo dei conservatori è il leone. Non c'è fiamma che agiti gli animi della sinistra, fiamma che, col giusto tempo, potrebbe simbolicamente e pragmaticamente essere tolta dal simbolo del partito.
Allargare, dicevamo. Per far scemare la paura negli occhi di chi non la pensa come lei. Allargare, rimanendo saldi sulle proprie idee. Quando l'attivista Lgbt è salito sul palco, la Meloni ha dato una grande prova di democrazia bloccando la sicurezza che si stava avventando contro l'"invasore", dialogando e rispettandone la diversa opinione. "Hai già le unioni civili, non voglio che tu vada all'estero". Una rassicurazione (non ci sarà un restringimento dei diritti) e una fermezza (non ci sarà nemmeno un allargamento). Il tutto nel rispetto delle proprio convinzioni. È l'essenza della democrazia, non deve spaventare. E chi lo sa, magari un giorno coloro che oggi storcono il naso al sol sentire il suo nome diranno: "Meloni? Forse ci eravamo sbagliati".
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