Attesa per l'assegnazione oggi del premio Nobel per la Pace.
Nella consueta ridda di nomi ne svetta uno collettivo, quello dell'Ucraina. Del suo presidente Volodymyr Zelensky rimasto al suo posto quando tutti lo davano in fuga, del quotidiano The Kyiv Independent che dal 24 febbraio è stata la prima fonte di notizie sull'invasione di Mosca, dell'oppositore russo Alexei Navalny che dal carcere fa sentire la sua voce contro la tragedia della guerra di Putin, dell'oppositrice bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya che dall'esilio continua la lotta contro il presidente Alexander Lukashenko e la sua politica di sostegno incondizionato al Cremlino, delle organizzazioni che si spendono per gli aiuti ai civili. Al Comitato per il Nobel spetta una decisione difficile e per certi aspetti paradossale: assegnare il premio per la pace a chi è in guerra.
Ma a Oslo hanno abituato il mondo a più di una sorpresa, come quella che l'anno scorso ha visto insignire il giornalista russo Dmitry Muratov e la filippina Maria Ressa.
E quest'anno, in una delle crisi peggiori per l'intero pianeta dalla Seconda Guerra Mondiale, prendere in qualche modo le parti di un Paese che in guerra ci è stato trascinato potrebbe essere un segnale forte dalla parte della pace.
Secondo i bookmaker Zelensky, che è nella lista Time 100 2022, è il favorito. Ma c'è anche papa Francesco, voce della pace nel mondo e nella "martoriata" Ucraina, e l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, in prima linea nell'assistenza umanitaria ai milioni di profughi in fuga dalla guerra voluta da Putin ma anche ai tanti disgraziati vittime di regimi e violenze. L'agenzia delle Nazioni Unite ha già ricevuto il premio nel 1954, per il suo lavoro innovativo nell'assistenza ai rifugiati d'Europa, e nel 1981, per l'assistenza ai rifugiati di tutto il mondo con una menzione per gli ostacoli politici che l'organizzazione deve affrontare. Il 2022 potrebbe anche essere l'anno per il terzo riconoscimento al suo lavoro.
Se poi a Oslo decidessero di sfilarsi dal prendere posizione in una guerra troppo rischiosa in termini di polemiche, scontri e riposizionamenti geopolitici, c'è l'altro grande tema del cambiamento climatico di cui la siccità di quest'anno è un ulteriore, pericolosissimo, indicatore. In pole, Greta Thunberg e il movimento Friday's for Future, il divulgatore scientifico britannico sir David Attenborough, il ministro degli Esteri di Tuvalu, Simon Kofe, protagonista di un accorato intervento da remoto alla Cop 26, la Conferenza Onu sul clima che si è tenuta a Glasgow. In mare, con l'acqua alle ginocchia per denunciare i rischi dell'innalzamento dei livelli degli Oceani a causa del cambiamento climatico, ha toccato il cuore e l'immaginario anche degli indifferenti.
C'è poi, tra i candidati, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che si è spesa durante il Covid per dare una risposta globale al contenimento della pandemia e un aiuto, attraverso il programma Covax, alla distribuzione dei vaccini nei paesi più poveri. Ma che è stata anche fortemente criticata per il ritardo con cui ha dichiarato l'emergenza internazionale e le indicazioni contraddittorie su mascherine e modalità di contagio. Verrebbe da dire semplicemente 'vinca il migliore', ma è difficile stabilire chi lo sia.
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