Il sogno di Calenda? Riportare Draghi, o almeno il «draghismo», a Palazzo Chigi. A dirlo è lo stesso leader di Azione, raccontando lo scenario nella sua intervista ferragostana al Corriere della Sera. Secondo il frontman del Terzo polo, infatti, conta poco chi vincerà le elezioni, perché comunque non durerebbe «più di sei mesi» a causa delle «enormi contraddizioni interne» delle coalizioni che si presentano alle urne. Il voto, insomma, per Calenda servirà solo ad assegnare le quote della futura grande coalizione di un nuovo governo da affidare al premier uscente o comunque ispirato alla sua figura e alla sua agenda.
Il problema numero uno è che nel sognare questa grosse koalition centrista, Calenda immagina di sfrondare le ali estreme degli attuali schieramenti: via dunque Fdi e in tutto o in parte Lega da un lato, e i comunisti – che hanno portato Azione a «rompere» con il Pd dall'altro. Il problema numero due è che lo stesso Calenda, per «fermare questo gioco della politica contro che ha dilaniato il Paese negli ultimi trent'anni», immagina per sé e per Iv una percentuale di consensi tra il 10 e il 15 per cento. Mentre i sondaggi, al momento, indicano Fdi in corsa come primo partito, e il Terzo Polo Renzi-Calenda tra 4,9 e 5 per cento.
Le premesse, insomma, non sono delle migliori per poter pensare di costruire dal risultato delle urne, qualunque sia, una nuova alleanza di larghe intese «per avere un governo con Draghi o comunque che abbia autorevolezza, programmi, concretezza, visione», per dirla con Calenda, che sogna col suo Terzo Polo di riunire intorno al suo progetto Pd, Fi e moderati vari ed eventuali, ma che al momento non lesina stoccate anche agli azzurri, svestendo Berlusconi dei panni di moderato per aver «sfiduciato Draghi» e immaginando che al Cavaliere interessi «solo il Quirinale, nel quadro di una improbabilissima riforma presidenziale che gli hanno promesso».
Ma attenzione. Perché proprio sul presidenzialismo, qualche segnale di apertura al centrodestra e a Fi è arrivato ieri proprio dall'alleato di Calenda. Con Matteo Renzi che ha respinto nettamente le accuse di «deriva antidemocratica» piovute sul centrodestra per aver proposto l'elezione diretta del capo dello stato. «Follia», ha tagliato corto il leader di Iv, che ha ricordato a Letta e al centrosinistra che «il presidenzialismo è radicato in tante moderne democrazie occidentali».
Insomma, su alcuni punti ci si può lavorare, e pure Calenda, non tenero nell'intervista con il centrodestra che sogna di spacchettare, concede l'inesistenza di un «rischio fascista» in caso di vittoria della coalizione a traino Fdi. Anzi, si scaglia contro «le vecchie e stantie battaglie di demonizzazione reciproca», contro i «tu sei fascista, tu sei comunista», e plaude il lavoro di «ministri seri» anche «della parte più responsabile della Lega» impegnati insieme a esponenti «del Pd, così come i nostri». Il tutto, per Calenda, è nel segno dell'ipocrisia: «Si fomenta odio quando c'è bisogno di una grande riappacificazione, che stava avvenendo col governo Draghi ma che purtroppo si è interrotta perché mancava una grande forza riformista e liberale». Che «ora c'è», aggiunge il leader di Azione, riferendosi ovviamente al cartello che vede insieme lui e Renzi, per concludere speranzoso: «Riprendiamo il cammino». E pazienza se al momento i numeri non sembrano affatto confortare il suo sogno, Calenda ostenta ottimismo: «A Roma siamo partiti con i sondaggi al 6% e abbiamo finito al 20».
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