Ferragni si pronuncia contro Meloni sul caso Marche e ben presto la notizia diventa virale uscendo dai confini territoriali per diventare non solo un tema di confronto etico e sociale ma dai chiari contorni elettorali. Eppure la maternità è un terreno pericolo e melmoso per tutti gli schieramenti politici, non immuni da anni di spalle voltate al dato delle nascite che nel nostro Paese ha ormai raggiunto i minimi storici. Ne abbiamo parlato con Eugenia Roccella, figlia di Franco Roccella, tra i fondatori del partito radicale, portavoce da sempre di molte battaglie femminili, già Sottosegretario alla Salute del Governo Berlusconi IV e oggi candidata per il centrodestra con Giorgia Meloni.
Cominciamo con un chiarimento necessario. L'aborto, secondo lei, è un diritto?
"È la stessa legge 194 che non lo configura come tale: fin dal titolo in cui si parla di "norme per la tutela della maternità e l'interruzione volontaria della gravidanza", considerando giustamente l'aborto nell'ambito più generale di una maternità che va protetta e a cui va dato valore sociale. L'aborto per la legge italiana è, quindi, condizionato dall'esistenza "di un serio pericolo per la salute fisica o psichica" della donna. Il ruolo del medico è quello di accertare che vi siano le condizioni previste dalla legge, ma anche di aiutare le donne "a rimuovere le cause che porterebbero all'interruzione di gravidanza". Quindi, come si fa a parlare di un diritto? Neppure il femminismo storico lo ha mai considerato tale, semmai lo cita come un potere della donna. Ma un potere non è un diritto".
Quali sono le intenzioni del centrodestra sulla Legge 194?
"Tutti i leader del centrodestra si sono espressi con molta chiarezza sul tema: nessuno ha intenzione di toccare la legge. Sarebbe, invece, importante, che si attuasse davvero la prima, fondamentale parte della legge 194, in cui si indica che dovrebbero essere i consultori ad aiutare le donne a rimuovere gli ostacoli che impediscono di realizzare il desiderio di un figlio. In pratica chi lo fa? Gli unici in tal senso, in trent'anni di applicazione della legge, sono stati i volontari dei Centri di aiuto alla vita: donne che aiutano altre donne".
Maternità negata, maternità surrogata, maternità assistita, maternità consapevole. La maternità oggi si scontra con temi che la pongono in secondo piano rispetto alla sua negazione. Soprattutto nel lessico comune dell'essere madre sono ormai entrate le parole "scelta" e "decisione" che cozzano con una condizione totalmente inaspettata e nuova che la donna si trova a vivere. Intanto, nel nostro paese, nei quarant'anni che sono passati dalle importanti conquiste femminili le nascite sono diminuite e aumentato il disagio delle donne nei confronti della gravidanza acuito dallo sfaldamento del sostegno familiare. Cosa ne pensa?
"È così. Da una parte la gravidanza è stata fortemente medicalizzata, trattata come un fatto patologico più che come un evento naturale. Dall'altra si abbandonano le donne alle proprie paure: avrò troppo dolore, arriverò all'ospedale al momento giusto, il bambino nascerà sano, potrò allattare al seno? Oggi non c'è più quella rete di solidarietà che un tempo avvolgeva le famiglie: mamme, zie, vicine di casa. Spesso, le donne si ritrovano sole di fronte a un evento totalmente carico di incognite e, ancora più spesso, molte di loro non hanno mai tenuto un neonato in braccio. Bisogna ricostruire intorno alle madri una rete di aiuto e vicinanza attraverso servizi domiciliari di assistenza, come avviene in altri paesi, per esempio in Francia".
Le morti collegate agli aborti sono rarissime così come quelle collegate ai parti la questione che si pone sulla interruzione di gravidanza o sulla pillola del giorno dopo non pare quindi toccare con emergenza il problema salute. Può essere solo una questione morale o alle spalle del 70% di ginecologi antiabortisti c'è un pensiero pratico che si sviluppa nel solco dall'esperienza maturata dal rapporto con le proprie pazienti?
"Il problema va scisso. Da una parte il numero assoluto di obiettori è alto solo in percentuale ma poco significativo se paragonato al rapporto tra offerta e richiesta. Gli aborti negli anni sono diminuiti drasticamente rispetto (1 a settimana) in relazione al trend nazionale di natalità e alla diffusione dei metodi contraccettivi. Attaccare gli obiettori quindi non ha alcun effetto pratico e significa solo negare il diritto della libertà di coscienza. Oggi, d'altro lato, si presenta la pillola abortiva Ru486 come una importante soluzione, spesso per superare il (falso) problema degli obiettori. Eppure abortire da sole a casa usando una pillola non è certo più facile per una donna: è molto più economico per le strutture sanitarie che non devono impegnare medici e sale operatorie, ma si limitano a consegnare le pillole e a lasciare che le pazienti se la sbrighino da sole. Addirittura, le nuove linee guida emanate dal ministro Speranza aprono alla possibilità di dare le pillole direttamente nei consultori, contravvenendo alla stessa legge 194 in cui si dice con chiarezza che l'aborto va fatto solo nelle strutture sanitarie".
Cosa viene fatto oggi dal sistema sanitario per supportare nella consapevolezza una madre nelle prime settimane di gravidanza? O meglio cosa viene fatto per consapevolizzare le donne alla maternità?
"Troppo poco. Oggi la maternità è considerata un fatto esclusivamente privato. Va ricostruita quella rete di informazioni, sostegno, trasmissione di esperienze, che una volta si creava spontaneamente. Secondo una ricerca della Fondazione Donat Cattin tra i giovani, la metà di loro non vede nel proprio futuro un figlio che non è più visto come arricchimento e proiezione verso il futuro, ma come un ostacolo alla propria libertà. Dobbiamo far comprendere che essere madri e padri vuol dire sviluppare competenze fondamentali per se stessi e per la società: nel lavoro, nella vita civile, nella società, nei rapporti interpersonali".
Al di là di ogni considerazione le donne sono più che mai sole e che da problema etico la maternità si sta trasformando in emergenza sociale?
"È proprio questo il punto. Ci si occupa solo del cosiddetto "diritto" all'aborto, ma non ci si chiede come mai le donne italiane non fanno più figli. Ma è vero che non li desiderano o si tratta di una scelta, non solo non premiata ma penalizzante, che sviluppa ansia nella consapevolezza che tutto cadrà direttamente e solo sulle loro spalle? L'idea che la maternità sia un valore sociale e come tale vada trattata è per lo più scomparsa tanto che in molti territori è più difficile trovare una struttura sanitaria dove partorire che dove abortire. Questa è la libertà femminile?"
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