C'era una volta Enrico Letta, uomo pacato, riflessivo, pronto al dialogo. Ma adesso siamo in campagna elettorale e il segretario pro tempore del Pd non è più lui. L'insuccesso annunciato può dare alla testa. L'ennesima riprova è l'intervista che il sullodato ha concesso bontà sua a La Stampa di giovedì. Per lui, Giorgia Meloni sta diventando sempre più la sua ossessione. Lui parla a Cagliari e poteva dire di aver trovato una piazza piena. E invece no. Afferma che la cagliaritana piazza del Carmine era «piena più di quando qui è venuta Giorgia Meloni».
Letta, il Nipote, se la prende un po' con tutto e tutti. Sostiene che con una legge elettorale come il Rosatellum un 40% di voti attribuito al centrodestra si trasformerebbe nel 70% dei seggi parlamentari. Ma se questo dovesse accadere è solo perché il centrodestra marcia unito, mentre il campo largo di Enrico Letta ha fatto cilecca. È vero, il Rosatellum è stato partorito da Matteo Renzi. Ma il numero 1 del Pd ha avuto tutto il tempo per cancellare questo abominio e invece se n'è stato con le mani in mano. Letta se la prende con la riduzione del numero dei parlamentari. Ma alla fine il Pd non ha trovato di meglio che accodarsi. Poi Letta se la rifà con Giuseppe Conte, reo di aver mandato a picco il governo Draghi. Ragion per cui il Pd ha ritenuto opportuno sbattergli la porta in faccia. Il guaio è che Letta parla da un pulpito sospetto. Infatti i pentastellati non hanno votato il decreto legge Aiuti, e provocato la crisi di governo, perché il Pd pretese che nel provvedimento ci fosse una norma su un termovalorizzatore per la Capitale. Una norma in base alla legge 400 del 1988 che con il decreto c'entra come il classico cavolo a merenda. Ma il meglio del peggio Enrico Letta lo ha dato a proposito del semipresidenzialismo. Il suo è un no per partito preso. Per dispetto. Per tigna. Ma ecco le sue memorabili parole: «Io sono contro il presidenzialismo, lo trovo una scorciatoia insidiosa, il modo populista per dire ai cittadini: guardate, le cose non vanno bene, datemi tutti i poteri in mano e risolvo io. La verità è che sanno benissimo che non sarebbero in grado di governare un momento così difficile e si stanno costruendo l'alibi perfetto per non farlo». Più smemorato dello smemorato di Collegno, Letta forse non ricorda che ai tempi della commissione bicamerale D'Alema fu il relatore sulla forma di governo, Cesare Salvi, a prospettare l'elezione popolare diretta del capo dello Stato. Fatta propria dalla commissione. Forse non ricorda che da Léon Blum a Piero Calamandrei non sono poche le personalità di sinistra favorevoli al presidenzialismo. La cosa più singolare è che Letta per anni ha insegnato, come professore a contratto, alla Facoltà di Scienze politiche di Parigi. Perciò dovrebbe sapere che il passaggio dal parlamentarismo al semipresidenzialismo è stato salutare per la Francia. Ha dato stabilità alle istituzioni e non ha minimamente intaccato le libertà. E invece niente. Se n'è stato bel bello a Parigi, ignaro di soggiornare in un Paese retto da una bieca dittatura. Contento lui…
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